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      Cessata quell’indifferenza in seguito ai grandi scioperi di questi ultimi tempi e specialmente dopo lo sciopero del porto di Londra che fece pensare che se gli uomini che lo guidarono avessero avuta una chiara concezione rivoluzionaria e non ne avessero temuto le responsabilità, si sarebbe potuto condurre i lavoratori dei docks a marciare sui quartieri ricchi ed a fare la rivoluzione; si manifesta ora una tendenza all’eccesso opposto, cioè ad attendere tutto dagli scioperi e quasi a confondere lo sciopero con la rivoluzione.
      Questa tendenza è molto pericolosa, poichè essa fa nascere delle speranze chimeriche e la cui pratica sarebbe, non dico certo altrettanto corruttrice, ma pure fallace e addormentatrice come lo stesso parlamentarismo.
      Si predica lo sciopero generale e sta benissimo: ma si ha torto, secondo me, quando s’immagina e si dice che lo sciopero generale è la rivoluzione. Esso sarebbe solo un’occasione magnifica per fare la Rivoluzione, ma niente di più. Esso potrebbe trasformarsi in rivoluzione, ma solo se i rivoluzionari avessero abbastanza influenza, forza e spirito d’iniziativa per trascinare i lavoratori sulla via dell’espropriazione e dell’attacco armato, prima che lo snervamento della fame e lo sgomento del massacro o le concessioni dei padroni non vengano a demoralizzare gli scioperanti e a ridurli in quello stato d’animo, così facile a prodursi tra le masse, nel quale si vuole sottomettersi ad ogni costo, e si considera come un nemico, un pazzo o un agente provocatore chiunque spinge alla lotta ad oltranza.


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Rivoluzione e lotta quotidiana
di Errico Malatesta
pagine 338

   





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