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      Noi intendiamo per partito anarchico l’insieme di quelli che vogliono concorrere ad attuare l’anarchia, e che perciò han bisogno di fissarsi uno scopo da raggiungere ed una via da percorrere; e lasciamo volentieri alle loro elucubrazioni trascendentali gli amatori della verità assoluta e del progresso continuo, che non cimentando mai le loro idee alla prova dei fatti finiscono poi col far nulla e scoprir meno.
      L’altra obbiezione è che l’organizzazione crea dei capi, delle autorità. Se questo è vero, se è vero cioè che gli anarchici sono incapaci di riunirsi ed accordarsi tra di loro senza sottoporsi ad un’autorità, ciò vuol dire che essi sono ancora molto poco anarchici e che prima di pensare a stabilire l’anarchia nel mondo debbono pensare a rendersi capaci essi stessi di vivere anarchicamente. Ma il rimedio non starebbe già nella non organizzazione, bensì nella cresciuta coscienza dei singoli membri.
      Certamente se in un’organizzazione si lascia addosso a pochi tutto il lavoro e tutte le responsabilità, se si subisce quello che fanno i pochi senza metter mano all’opera e cercar di far meglio, quei pochi finiranno, anche se non lo vogliono, col sostituire la propria volontà a quella della collettività. Se in un’organizzazione i membri tutti non si curano di pensare, di voler capire, di farsi spiegare quello che non capiscono, di esercitare sempre su tutto e su tutti le loro facoltà critiche, e lasciano a pochi il compito di pensare per tutti, quei pochi saranno i capi, le teste pensanti e dirigenti.


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Rivoluzione e lotta quotidiana
di Errico Malatesta
pagine 338