Ma non per questo noi siamo sindacalisti, se per sindacalismo s’intende quella dottrina che vede nel fatto solo del sindacato operaio una virtù speciale che deve automaticamente, quasi senza la coscienza e la volontà degli operai associati, portare all’emancipazione dal giogo capitalistico ed alla costituzione di una nuova società.
Noi non crediamo a questa virtù rinnovatrice propria del sindacato – ed i fatti non confortano a credervi.
I sindacati operai han servito e servono ai conservatori, ai preti, agli arrivisti di tutte le specie, come possono servire ai rivoluzionari, e se tendenza propria, naturale, indipendente dalle influenze esterne, extraeconomiche, essi hanno, è piuttosto quella di dividere la massa in corporazioni chiuse, lottanti per interessi particolari in opposizione agli interessi della generalità.
I sindacati sorgono per resistere alle esigenze dei padroni, per reclamare dei miglioramenti, per affermare un desiderio di emancipazione, ed è bene, ma non basta. Se un principio superiore di giustizia per tutti non ispira gli associati, se al di sopra delle questioni d’interesse personale, immediato, non vi sono delle aspirazioni ideali che spingono a sacrificare l’oggi per il domani, il bene particolare per il bene generale, la lotta contro i padroni prende sempre, nella pratica, un carattere come di concorrenza fra commercianti, e finisce in transazioni ed accomodamenti, che creano forse nuovi privilegi per alcuni favoriti dalle circostanze, ma confermano la massa nella sua servitù. E la difesa della “tariffa sindacale” diventa lotta contro gli altri lavoratori e contro il pubblico in generale.
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