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      Gli anarchici dovrebbero, primi nei rischi e nei sacrifizii, rifiutarsi assolutamente di servire da intermediari coi padroni e colle autorità; ed in caso di sconfitta subirla, se non si può fare altrimenti coll’animo intento alla rivincita, e non mai accettarla come il risultato di un accordo che vi tiene moralmente obbligati.
      Dovrebbero combattere ogni contratto che lega i lavoratori per un dato tempo, e provocare in essi uno stato d’animo che fa loro sentire la loro vera condizione di schiavi costretti dalla forza, anche quando apparentemente sembrano liberi contraenti.
      Questa tattica, che ci pare indicata dal fine che gli anarchici si propongono, non è forse la più adatta per la costituzione di associazioni, stabili, vaste e ricche. Ma noi non crediamo nell’utilità, nella potenza reale di organizzazioni mastodontiche, che per la troppa mole non possono muoversi e per il troppo denaro sviluppano istinti conservativi e bottegai.
      Quello che importa è lo spirito di lotta, lo spirito di solidarietà, lo spirito di associazione. Se una lega, una federazione si sfascia in conseguenza della lotta e delle persecuzioni, non fa nulla, quando i suoi membri sono coscienti e le loro aspirazioni sussistono: essa è presto ricostituita appena è passata la bufera. Una forte, solida organizzazione che non si muove per paura di sfasciarsi è un peso morto, un ostacolo al progresso.
      Nel caso che esistano più organizzazioni rivali, come è il caso ora in Italia con l’Unione Sindacale e la Confederazione del Lavoro, quale è il contegno che debbano tenere gli anarchici?


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Rivoluzione e lotta quotidiana
di Errico Malatesta
pagine 338

   





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