I risultati, a dir vero, erano meschini, perchè si era in pochi, perchè gli scopi sociali per i quali si voleva fare la rivoluzione erano misconosciuti e respinti dalla generalità, perchè insomma “i tempi non erano maturi”.
Ma la volontà della preparazione insurrezionale vi era e trovava poco a poco il mezzo di realizzarsi, la propaganda incominciava ad estendersi e portare i suoi frutti; “i tempi maturavano”, in parte per opera diretta dei rivoluzionari e più per l’evoluzione economica che acuiva il conflitto, e sviluppava la coscienza del conflitto, tra lavoratori e padroni, e che i rivoluzionari mettevano a profitto.
Le speranze della rivoluzione sociale crescevano, e sembrava certo che, tra lotte, persecuzioni, tentativi più o meno “inconsulti” e sfortunati, soste e riprese di attività febbrile, si arriverebbe, in un tempo non troppo lontano, a determinare lo scoppio finale e vittorioso, che doveva abbattere il regime politico ed economico vigente ed aprire le vie ad una più libera evoluzione verso nuove forme di convivenza sociale, basate sulla libertà di tutti, la giustizia per tutti, la fratellanza e la solidarietà fra tutti.
Ma poi, a frenare l’impulso volontaristico della gioventù socialista (allora si chiamavano socialisti anche gli anarchici) venne il marxismo coi suoi dogmi e col suo fatalismo. E disgraziatamente con le sue apparenze scientifiche (si era in piena ubriacatura scientificista) il marxismo illuse, attrasse e sviò anche la più parte degli anarchici.
I marxisti incominciarono a dire che ‘‘la rivoluzione viene, ma non si fa”, che il socialismo verrebbe necessariamente per il “fatale andare” delle cose, e che il fattore politico (che è poi la forza, la violenza messa a servizio degl’interessi economici) non ha importanza e che il fatto economico determina tutta quanta la vita sociale.
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