Ma la stupidaggine e la brutalità della polizia disposero altrimenti.
In Ancona la mattina le truppe erano restate consegnate e non v’era stato nulla di grave. Nel pomeriggio vi fu un comizio nel locale dei repubblicani a Villa Rossa, e dopo che ebbero parlato oratori dei vari partiti e spiegato le ragioni della manifestazione, la folla incominciò ad uscire. Ma alla porta c’era la polizia che intimava di sciogliersi e ritirarsi, mentre poi cordoni di carabinieri chiudevano tutte le strade per le quali si poteva andar via ed impedivano il passaggio. Ne nacque un conflitto; i carabinieri fecero fuoco ed ammazzarono tre giovani.
Immediatamente i tram cessarono di circolare, tutti i negozi si chiusero e lo sciopero generale si trovò attuato senza che ci fosse bisogno di deliberarlo e proclamarlo. L’indomani ed i giorni susseguenti Ancona si trovò in stato d’insurrezione potenziale. Dei negozi d’armi furono saccheggiati, delle partite di grano furono requisite, una specie d’organizzazione per provvedere ai bisogni alimentari della popolazione si andava abbozzando. La città era piena di truppa, navi da guerra si trovavano nel porto, ma l’autorità pur facendo circolare grosse pattuglie, non osava reprimere, evidentemente perchè non si sentiva sicura dell’obbedienza dei soldati e dei marinai. Infatti soldati e marinai fraternizzavano col popolo; le donne, le impareggiabili donne anconetane, carezzavano i soldati, distribuivano loro vino e sigarette, li inducevano a mischiarsi colla folla; qua e là degli ufficiali erano sputacchiati e schiaffeggiati in presenza delle loro truppe e i soldati lasciavano fare e spesso incoraggiavano con cenni e con parole.
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