Ma i redattori ordinari di Umanità Nova, e fra essi colui che funge ora da direttore, sono dei rivoluzionari, vale a dire credono che ogni albero non può dare che i frutti che comporta la sua natura, che la società capitalistica e statale tende inevitabilmente a ridurre le masse proletarie alla miseria economica ed all’abbiezione morale, e che per poter creare un ambiente sociale nel quale sia possibile il libero sviluppo dell’individuo e l’inizio di una nuova civiltà, di una nuova e migliore umanità, è necessario prima di tutto abbattere colla forza l’ordine di cose vigenti, profittando delle crisi a cui è soggetto il regime capitalistico e della volontà fattiva delle minoranze coscienti e ribelli.
È quindi naturale che noi consideriamo le questioni principalmente dal punto di vista dell’interesse rivoluzionario, lasciando ai nostri collaboratori – anarchici più veri e maggiori – il compito di vigilare alla purezza della dottrina.
Del resto, queste discussioni sull’utilità e sulla necessità della rivoluzione sono oramai oziose. La rivoluzione c’è e cammina verso la sua crisi risolutiva. Che non lo veggano i governi e le classi privilegiate (ma è poi vero che non lo vedono?) si spiega facilmente con la tradizionale cecità dei governanti alla vigilia della loro caduta. Che ci siano degli anarchici – e fra i più nutriti di studi storici e sociologici che non lo veggono neppure loro, può spiegarsi con altre ragioni che non importa ora ricercare; in ogni modo, questo non altera il fatto: la rivoluzione s’agita e freme e sta per scoppiare.
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Umanità Nova
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