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      Ma in una rivoluzione sociale, dove sono rovesciate tutte le basi della convivenza sociale, dove la produzione indispensabile deve essere ripresa subito per conto e vantaggio dei lavoratori, dove la distribuzione deve essere immediatamente regolata secondo giustizia, la dittatura non potrebbe far nulla, O il popolo provvederebbe da sè nei diversi comuni e nelle diverse industrie, o la rivoluzione sarebbe fallita.
      Forse in fondo i partigiani della dittatura (e già alcuni lo dicono apertamente) non desiderano subito che una rivoluzione politica, vale a dire che vorrebbero senz’altro impossessarsi del potere e poi gradualmente trasformare la società per mezzo di leggi e di decreti. In tal caso essi avrebbero probabilmente la sorpresa di vedere al potere ben altri che loro stessi; e in tutti i casi dovrebbero prima d’ogni altra cosa pensare a organizzare la forza armata (i poliziotti) necessaria ad imporre il rispetto delle loro leggi. Intanto la borghesia che sarebbe restata sostanzialmente la detentrice della ricchezza, superato il momento critico dell’ira popolare, preparerebbe la reazione, riempirebbe la polizia di propri agenti, sfrutterebbe il disagio e la disillusione di coloro che si aspettavano l’immediata realizzazione del paradiso terrestre… e ripiglierebbe il potere o attirando a sè i dittatori, o sostituendoli con uomini suoi.
      Quella paura della reazione, addotta a giustificazione del regime dittatoriale dipende appunto dal fatto che si pretende fare la rivoluzione lasciando sussistere ancora una classe privilegiata in condizione di poter riprendere il potere.


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Rivoluzione e lotta quotidiana
di Errico Malatesta
pagine 338