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      Io mettevo a base delle mie osservazioni due principi.
      Primo: L’anarchia non si fa per forza. Il comunismo anarchico, applicato in tutta la sua ampiezza e portante tutti i suoi benefici effetti, non è possibile se non quando grandi masse di popolo, che abbracciano tutti gli elementi necessari ad attuare una civiltà superiore alla presente, lo comprendano e lo vogliano. Si possono concepire dei gruppi selezionati, i cui membri vivano tra di loro e con gruppi consimili in rapporti di volontaria e libera comunanza, e sarà bene che ve ne siano e dovrà essere compito nostro il costituirne, per la sperimentazione e per l’esempio; ma questi gruppi non saranno ancora la società comunista anarchica e saranno piuttosto casi di devozione e di sacrificio in favore della causa, fino a quando non saranno riusciti a conglobare tutta o gran parte della popolazione. Non si tratterà dunque, l’indomani della rivoluzione violenta, se rivoluzione violenta deve essere, di attuare il comunismo anarchico, ma di avviarsi verso il comunismo anarchico.
      Secondo: la conversione delle masse all’anarchia ed al comunismo – e nemmeno al più blando dei socialismi – non è possibile fino a che durano le attuali condizioni politiche ed economiche. E siccome queste condizioni, che mantengono i lavoratori in schiavitù, per il beneficio dei privilegiati, sono mantenute e perpetuate per mezzo della forza brutale, è necessario cambiarle violentemente per l’opera dell’azione rivoluzionaria di minoranze coscienti. Dunque, se è ammesso il principio che l’anarchia non si fa per forza, senza la volontà cosciente delle masse, la rivoluzione non può essere fatta per attuare direttamente ed immediatamente l’anarchia, ma piuttosto per creare le condizioni che rendano possibile una rapida evoluzione verso l’anarchia.


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Rivoluzione e lotta quotidiana
di Errico Malatesta
pagine 338