È vero che certe parole, specialmente in politica, cambiano continuamente di significato e spesso ne assumono uno contrario a quello originale, logico e naturale.
Gioverebbe mettere un freno a questo sistema di usare le parole in un senso diverso dal loro proprio, che è fonte di tante confusioni e tanti malintesi. Ma chi potrebbe riuscirvi, specie quando il cambiamento è prodotto dall’interesse che hanno i politicanti a coprire con buone parole i loro fini malvagi?
Potrebbe darsi dunque che la parola gradualista, applicata agli anarchici, finisse coll’indicare davvero quelli che colla scusa di fare le cose gradualmente, a misura che diventano possibili, finiscono col non muoversi più o col muoversi in una direzione opposta a quella che conduce all’anarchia. E allora bisognerebbe respingere il nome; ma la cosa resterebbe vera lo stesso, cioè che tutto nella natura e nella vita procede a gradi e che, applicando al caso nostro, l’anarchia non può venire che poco a poco.
L’anarchismo, dicevo, deve essere necessariamente gradualista.
Si può concepire l’anarchia come la perfezione assoluta, ed è bene che quella concezione resti sempre presente alla nostra mente, quale faro ideale che guida i nostri passi. Ma è evidente che quell’ideale non può raggiungersi d’un salto, passando di botto dall’inferno attuale al paradiso agognato.
I partiti autoritari, quelli cioè che credono morale ed espediente imporre colla forza una data costituzione sociale, possono sperare (vana speranza del resto!) che, quando si saranno impossessati del potere, potranno a forza di leggi, decreti… e gendarmi sottoporre tutti e durevolmente al loro volere.
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