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      Sessanta e più anni or sono noi pensavamo che l’anarchia ed il comunismo potessero sorgere come conseguenza diretta, immediata di un’insurrezione vittoriosa. Non si tratta, dicevamo, di giungere un giorno all’anarchia e al comunismo, ma di cominciare la rivoluzione sociale coll’anarchia e col comunismo. Bisogna, ripetevamo nei nostri manifesti, che la sera del giorno stesso in cui saranno vinte le forze governative ciascuno possa soddisfare pienamente i suoi bisogni essenziali, sentire senz’altro ritardo i benefici della rivoluzione.
      Era insomma l’idea che, accettata un po’ più tardi da Kropotkin, fu da lui popolarizzata e quasi fissata come programma definitivo dell’anarchismo.
      Secondo noi bastava distruggere gli ostacoli materiali, cioè sconfiggere la forza armata che difendeva i proprietari, e tutto sarebbe andato da sè.
      E badavamo soprattutto a perfezionare il nostro ideale, facendoci l’illusione che la massa ci seguisse, anzi credendo di non essere che gl’interpreti degl’istinti profondi di essa massa.
      Eravamo in pochi, ma avevamo una fiducia illimitata sull’efficacia della propaganda. Il nostro ragionamento in proposito era dei più ingenui: se, noi pensavamo, essendo in dieci a far propaganda in un mese siamo diventati venti, ora che siamo in venti in un altro mese diventeremo quaranta, e poi da quaranta ottanta e così di seguito. Raddoppiando il numero di mese in mese presto avremo avuto la forza necessaria per fare la rivoluzione.
      La rapida organizzazione dei corpi di mestiere e lo spirito di solidarietà tra gli oppressi in lotta per l’emancipazione avrebbero risolte tutte le difficoltà. L’Associazione Internazionale dei Lavoratori (la Prima Internazionale) che stava allora nel suo più florido periodo, sembrava già pronta per sostituire la sua organizzazione a quella della società borghese.


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Rivoluzione e lotta quotidiana
di Errico Malatesta
pagine 338

   





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