Non mi domandate, diceva un compagno, che cosa sostituiremo al colera: questo è un male, ed il male bisogna distruggerlo e non sostituirlo. È vero, ma il guaio è che il colera perdura e ritorna se non si sostituiscono condizioni igieniche migliori a quelle che permettono il sorgere ed il propagarsi dell’infezione.
Il pane è una cosa necessaria, siamo d’accordo. Ma la questione del pane è più complessa di quello che può sembrare a chi vive in un piccolo centro agricolo e magari produce egli stesso il grano necessario alla sua famiglia. Fornire il pane a tutti e un problema che abbraccia tutta quanta l’organizzazione sociale; il modo di possedere e di lavorare la terra, i mezzi di scambio, i trasporti, l’importazione del grano se quello che si produce nel paese è insufficiente, la distribuzione tra i vari centri abitati e poscia tra i singoli consumatori; vale a dire implica le soluzioni da dare alle questioni della proprietà, del valore, della moneta, del commercio, ecc. Oggi la produzione e la distribuzione del pane si fa in modo che i lavoratori restano sfruttati ed umiliati, i consumatori restano derubati, e a spese dei produttori e dei consumatori prospera tutto un esercito di parassiti. Noi vogliamo invece che il pane si produca e si distribuisca per il maggior bene di tutti, senza sciupio di forze e di materiale, senza oppressione di alcuno, senza parassitismi, con giustizia e con bontà; e dobbiamo cercare il modo di realizzare la nostra aspirazione o quanto più è possibile, in un dato momento, di quella nostra aspirazione i nipoti faranno certamente meglio di noi; ma noi dobbiamo fare come sappiamo e possiamo – e farlo subito, il giorno stesso della crisi, poichè, se per l’interruzione del servizio ferroviario, o le manovre dei padroni mugnai e fornai, o l’occultamento del prodotti, i grandi centri venissero a mancare di pane (e altre cose di prima necessità) la rivoluzione sarebbe perduta e trionferebbe la reazione sotto forma di restaurazione, e sotto forma di dittatura.
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