Per questi compagni tutte le questioni pratiche, le questioni di organizzazione, il modo di provvedere al pane quotidiano sono oggi questioni oziose: sono cose, essi dicono che si risolveranno da sè, o le risolveranno i posteri.
Ricordo il 1920, quando ero incaricato della direzione di "Umanità Nova". Era l’epoca in cui i socialisti cercavano d’impedire la rivoluzione, e purtroppo vi riuscirono, dicendo che, in caso di movimento insurrezionale, le comunicazioni coll’estero sarebbero interrotte e che saremmo morti tutti di fame per mancanza di grano: vi fu perfino chi disse che la rivoluzione non si poteva fare perchè in Italia non si produce caucciù! Io, preoccupato della questione essenziale dell’alimentazione e convinto che la deficienza di grano si poteva compensare utilizzando tutte le terre disponibili per la cultura di piante e semi nutritivi a rapido sviluppo, pregai il nostro compagno dottor Giovanni Rossi, agronomo provetto, di scrivere una serie di articoli con nozioni pratiche di agricoltura dirette appunto allo scopo che avevamo in vista. Il Rossi gentilmente lo fece. Era cosa evidentemente utilissima ma era cosa pratica e perciò non piacque a tutti. Vi fu un compagno, irritato perchè io gli avevo rifiutato l’inserzione non so più se di una poesia o di una novella, il quale mi disse bruscamente: “Già, tu preferisci che in "Umanità Nova" si parli di aratri, di fagioli, di cavoli e simili sciocchezze!”
Ed un altro compagno, che la pretendeva allora a superanarchico, tirava incoscientemente la conseguenza logica di quello stato d’animo.
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