Da parte mia, credo che gli uni e gli altri hanno la loro parte di ragione e la loro parte di torto; e che, se non fosse la malaugurata tendenza all’esagerazione ed all’esclusivismo, le due opinioni potrebbero contemperarsi e completarsi l’una con l’altra per adeguare la nostra condotta alle esigenze dell’ideale ed alle necessità della situazione, e raggiungere così la massima efficienza pratica, pur restando strettamente fedeli al nostro programma di libertà e giustizia integrali.
Negligere tutti i problemi di ricostruzione, o prestabilire piani completi ed uniformi sono due errori, due eccessi, che per vie diverse menerebbero alla nostra sconfitta in quanto anarchici ed al trionfo di nuovi o vecchi regimi autoritari. La verità sta nel mezzo.
È assurdo il credere che, abbattuti i governi ed espropriati i capitalisti, “le cose si accomoderanno da sè”, senza l’azione di uomini che abbiano un’idea preconcetta sul da farsi e si mettano subito all’opera per farlo. Forse ciò potrebbe accadere – e magari sarebbe preferibile che così accadesse – se si avesse tempo di aspettare che la gente, tutta la gente, trovasse modo, provando e riprovando, di soddisfare nel miglior modo i propri bisogni e i propri gusti, d’accordo con i bisogni e con i gusti degli altri. Ma la vita della società, come la vita degli individui, non ammette interruzioni. L’indomani immediato della rivoluzione, anzi il giorno stesso dell’insurrezione, bisogna provvedere all’alimentazione ed agli altri bisogni urgenti della popolazione, e quindi occorre assicurare la continuazione della produzione necessaria (pane, ecc.
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