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      Non altro vi resta, o fratelli, che di suscitare le moltitudini, e conquistar colla forza il vostro diritto alla cittadinanza italiana.
      E tutti quanti si accingano a proteggere in armi la maestà della nazione, che deve apparire visibile in Roma. I decreti senza le armi sarebbero argomento di scherno. E agli uomini che avversano nell'interno la nostra rivoluzione, si dica e si tenga il proverbio: chi rompe, paga.
      A GENOVA, MARZO 1849
     
      FRATELLI D'ITALIA(16)
     
      Tutta l'Europa è scossa e in grande ansietà; la quiete sepolcrale che dai superbi tiranni si diceva «pace» ed era «morte di popoli» in tanti lustri di turpe schiavitú, ha cessato per dar luogo all'azione di vita e di risorgimento. Finalmente siamo alla vigilia del tremendo conflitto dei due principii, indipendenza o schiavitú, «assolutismo o libertà», né v'ha transazione o altra via conciliativa. L'Autocrate delle Russie ha spinto le masse brutali contro la generosa Ungheria in ausilio della respinta e combattuta aquila grifagna. Il guanto è gittato: al decoro della Francia e all'interesse dell'Inghilterra sta il raccoglierlo senza esitanza: ma la fede nostra è piú gigante ancora.
      Noi non possiamo immaginare che le due grandi Nazioni, vessillarie dell'incivilimento europeo, restino mute e indolenti spettatrici di questa invasione cosacca. Il danno che oggi è nel territorio altrui, domani può essere alla nostra casa e giurisdizione. La Francia ha insegnato ai Popoli la maniera spedita di vendicare i propri diritti, e l'Autocrate, piú che a soggiogare l'Ungheria, agogna e mira ristabilire in Parigi il trono dei Borboni coll'antico arbitrio, e incosaccare il mondo.


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Pagine politiche
di Goffredo Mameli
pagine 67

   





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