La dimostrazione popolare dell'8 settembre, incominciata per chieder riforme ed inneggiare a Pio IX, finí per opera sua e degli amici suoi al sasso di Portoria, con grida di guerra al secolare nemico; pregustazione della gran passeggiata di tutto un popolo, il giorno 10 dicembre dell'anno seguente, al santuario di Oregina, per onorare la vittoria dei padri sulle fugate schiere del Botta Adorno. E già coll'inno agli Apostoli richiamava egli i banditori di un'"Era novella" all'onesto ricordo di coloro che nelle congiure e sui frequenti patiboli l'avevano preparata: e l'inno ai Bandiera, con le note tutte ricavate da Ricordi del Mazzini, e l'altro a Dante, con l'accenno all'ultimo erede legittimo del pensiero di lui, mostrano bene come il Mameli sentisse dei tempi nuovi piú alto e piú largo che non facesse il Balbo nelle sue recenti Speranze d'Italia. L'inno Dio e il popolo, dettato per la solennità cittadina del 10 dicembre 1847, col famoso ritornello: "Che se il Popolo si desta - Dio combatte alla sua testa, - La sua folgore gli dà", e l'altro, infine, di tre mesi anteriore, "Fratelli d'Italia", erano ispirati al concetto schiettamente Mazziniano, facendo aperto contrasto cogli appelli monarchici, e timidamente federali, di presso che tutti i canti politici di quel tempo. Anzi, per quello che io ne ricordo da conversazioni di casa Mameli, l'inno "Fratelli d'Italia" fu scritto espressamente da Goffredo per levar dalle labbra del popolo Genovese una cantilena sulla Stella d'Alberto, che aveva incontrato il favore universale.
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