In quel mezzo, entra nel salotto un nuovo ospite, Ulisse Borzino, l'egregio pittore che tutti i suoi Genovesi rammentano. Giungeva egli appunto da Genova; e vòltosi al Novaro, con un foglietto che aveva cavato di tasca in quel punto: To', gli disse; te lo manda Goffredo. - Il Novaro apre il foglio, legge, si commove. Gli chiedono tutti che cos'è; gli fan ressa d' attorno. - Una cosa stupenda! - esclama il maestro; e legge ad alta voce, e solleva ad entusiasmo tutto il suo uditorio.
- Io sentii - mi diceva il maestro nell'aprile del '75, avendogli io chiesto notizie dell'Inno, per una commemorazione che dovevo tenere del Mameli, - io sentii dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei definire adesso, con tutti i ventisette anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato, e non potevo star fermo. Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all'inno, mettendo giú frasi melodiche, l'una sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai, scontento di me; mi trattenni ancora un po' di tempo in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c'era rimedio; presi congedo, e corsi a casa. Là, senza pure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo, e per conseguenza anche sul povero foglio: fu questo l'originale dell'inno "Fratelli d'Italia". Piacque, pei versi; - (e qui l'amico era modesto, come sempre, ed ingiusto con sé; ma l'Italia gli renderà la giustizia ch'egli voleva negarsi); - ed era cantato con entusiasmo.
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