Finalmente, il 4 marzo era promulgato lo Statuto; degli ultimi tra i concessi da principi Italiani, a dir vero, ma che almeno fu l'unico lealmente giurato, e fedelmente mantenuto. A tutte quelle agitazioni aveva partecipato il Mameli. Giunto sullo scorcio di gennaio l'annunzio della rivoluzione trionfante a Palermo, volle il popolo Genovese un solenne rendimento di grazie a Dio nella chiesa dell'Annunziata; e Goffredo scrisse l'epigrafe, e il Bixio salí con suo rischio a piantarla sull'ingresso maggiore del tempio. Fu di questi giorni la formazione di un Comitato politico, che si adunò in casa di Giorgio Doria; e primamente vi si discusse l'invio d'una supplica al re di Napoli, dettata da Cesare Balbo e raccomandata dal Risorgimento di Torino. Dissuase Goffredo Mameli il partito, ventenne oratore, con argomentazioni di pensatore maturo, e forma pacata di ragionatore provetto. Pochi giorni prima, sciabolati gli inermi studenti di Pavia dalla soldatesca furente, si proponevano in Genova esequie solenni ai caduti nella mischia; e furono ancora del Mameli le epigrafi, ardite, minacciose, vere dichiarazioni di guerra.
Con tanti eccitamenti, la guerra non poteva tardare. Il 17 marzo prorompeva spontanea una fiera sommossa a Milano. Fuggito il vicerè, fuggito il governatore, si lasciò la città in balía de' soldati; onde la strage, che fu sanguinosa vigilia alle Cinque Giornate, eterna gloria della nobil Milano. Rapida ne era corsa la notizia a Genova; piú rapida che non usassero correre le poste d'allora.
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