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      Ho visitato Garibaldi: ha bella fisionomia, un far rozzo ma franco; sempre piú mi persuado che in buone mani se ne può trar partito
      . La grazia! Ma in una lettera susseguente la rozzezza attacca pure la fisionomia; per contro, se ne vantaggia l'ingegno. "Garibaldi non è uomo comune; la sua fisionomia comunque rozza è molto espressiva. Parla poco e bene: ha molta penetrazione: sempre piú mi persuado che si è gettato nel partito repubblicano per battersi, e perché i suoi servigi erano stati rifiutati. Né lo credo ora repubblicano di principio. Fu grande errore il non servirsene. Occorrendo una nuova guerra, è uomo da impiegare. Come abbia riuscito a salvarsi quest'ultima volta, è veramente un miracolo"(8). E ancora, la grazia di quella rozzezza, accompagnata da tante qualità intellettuali! Pure, venendo al busilli, non c'era da far altro che impiegarlo, e servirsene.
      Ma non diciamo male degli uomini vecchi, se vediamo i nuovi non volere, o non saper fare altrimenti. In Sicilia, nel '48, gli offrivano di guidar bande; ma il comando supremo avevano conferito ad un altro Polacco, il generale Mieroslawsky. A Roma, bontà di Dio, si volle un generale Italiano, pensando sulle prime a un D'Apice, che aveva fatto breve comparsa e nessuna gesta in Val d'Intelvi: poi si cadde d'accordo su d'uno stratega da tavolino, il colonnello Rosselli, súbito innalzato al grado di generale. Goffredo Mameli, che come scrittore politico aveva sulla Pallade sostenute le idee del governo e proferito anch'egli il nome del D'Apice, come soldato seppe fare altra scelta: non entrò nello stato maggiore del Rosselli; memore di Luino e di Morazzone, stette con Garibaldi, nella Legione Italiana, attendendo alle cure della milizia con la bella passione ch'egli metteva in ogni cosa sua.


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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