Si ritorna da quella vittoria, che poteva esser più larga, se il Rosselli si fosse mosso, dando corpo una volta a certo suo, non so bene se disegno, o sogno strategico; e si arriva a Roma per riposar la Legione. Ma l'armistizio è stato rotto dall'Oudinot la mattina del 3 giugno, con ventiquattr'ore di anticipazione, essendo stato pattuito fino alla mattina del 4. Garibaldi accorre con quante forze ha sotto mano via via, e tutto il giorno combatte indefesso davanti e d'intorno alla Villa Corsini, dal nemico fortemente occupata. Là caddero feriti i due amici, compagni oramai di tante vicende; Nino all'inguine, Goffredo alla tibia sinistra. Aveva voluto egli il sacrifizio. Stava accanto a Garibaldi, sempre tra il fuoco, e non gli parve bastante; chiese licenza di muovere anch'egli, ad una delle tante cariche alla baionetta che si avvicendavano e si succedevano sotto il Casino dei Quattro Venti; l'ebbe, o credette di averlo, e caricò a sua posta, l'animoso. Pochi minuti dopo, ripassava portato a braccia davanti al suo Generale. Lo stesso Garibaldi ha descritto il momento doloroso che gli passò davanti il ferito(11). Si ricambiarono uno sguardo, e non piú: nessuno aveva da veder lagrime sul ciglio del guerriero. Ma Garibaldi si era proposto di far sapere agli Italiani quanto sentisse di quel giovine eroe, e di quell'ora tragica in cui lo segnava del suo marchio fatale, e a sé destinato, infallibil preda, la morte. Ne scrisse, appena sfuggito a quella caccia infernale di quattro colonne, proseguita da San Marino alla pineta di Ravenna; ma non fu potuto stampare, perché sviato o smarrito, lo scritto; ond'ebbe a dolersene più tardi, dandone poi qualche cenno in piú lettere alla veneranda madre di Goffredo(12). E ne ragionava spesso, tanti anni dopo, a chiara testimonianza per tutti del senso profondo che il giovine poeta soldato aveva fatto nell'animo suo.
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