Pure, egli ebbe ancora un fil di speranza, e scrisse lieto alla madre; le riscrisse lietissimo, confermando la certezza del meglio, quando ogni fede di ciò gli era uscita dall'anima; e stette saldo, apparecchiato alla morte. Ebbe delirio a piú riprese, ma dolce; delirio di poeta, che recitava versi, a frammenti, come ne aveva gittati nelle pagine confidenti de' suoi quaderni di studio. Nei momenti lucidi, che ancora sugli ultimi giorni del giugno erano stati i piú, gli dava gran noia il tuonar del cannone, con le granate che venivano frequenti a visitar l'ospedale; musica e pioggia a cui prima era stato insensibile. - "Morire in campo, sí" - diceva egli, irrequieto; - "ma qui, come un paralitico, no!" - Ebbe fino al 3 luglio amici al suo capezzale; tra questi, e perfino tre volte al giorno, il Mazzini, filosofante come un Greco antico sull'anima immortale(14). Ma dopo quel giorno ognuno dovette pensare a sé, non restando altri che gli infermieri e i medici, tra i quali animoso sempre ed infaticabile Agostino Bertani, che solamente il 19 giugno era stato chiamato a consulto, né piú volle spiccarsi intieramente da lui. Forse dagli infermieri seppe Goffredo, o indovinò dal tacer del cannone, che la Repubblica Romana, la Repubblica sua, era caduta. Appunto il 3 luglio erano entrate in città le soldatesche Francesi. Goffredo Mameli spirò il giorno 6, alle sette e mezzo della mattina, dopo un altro accesso di mite delirio, in cui recitò versi ancora, ed augurò giorni migliori alla patria.
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