Quelle manifestazioni, com'era naturale, furono súbito represse, coll'arresto e il processo di molti: il Mameli, dal canto suo, si credette in obbligo di offrire le sue dimissioni, che furono tosto accettate. Ritornò egli dunque a Genova come privato, ricevendo qualche tempo dopo la nuova della ferita di Goffredo, quindi del suo aggravarsi improvviso. Affrettatosi ad accorrere, non potuto entrare in Roma se non dopo la sottomissione dell'intiera città, e quando già Goffredo era spirato, si presentò alle autorità militari per domandarne la salma, avendone in risposta un diniego, senza pur una di quelle parole cortesi che sogliono render men duri i rifiuti, senza nessuno di quei riguardi formali, dovuti ad un ufficiale superiore, il quale da pochi giorni soltanto aveva lasciato il comando di una nave da guerra. Anche questo fatto ho accennato, come segno dei tempi grossi, e forse degli animi inveleniti da tanto accanita difesa.
Nel 1870, siccome ho detto, tra per le indagini fortunate d'un compagno d'armi del Mameli e per indicazioni d'altra parte ottenute(15), fu scoperto il deposito delle Stímmate, riconosciuto il feretro ai segni corrispondenti con quelli della pietra tumulare, il cadavere ai biondi capelli e alla mancanza della gamba sinistra. La famiglia avrebbe volute a Genova le preziose reliquie; cedette poi al gran nome di Roma, di quella Roma a cui Goffredo aveva consacrate le ultime prove dell'ingegno e del braccio. Colà furono lasciate, ma avendole il Campo Verano, non la sommità del Gianicolo, unico luogo di degno riposo alle ossa dei difensori di Roma, morti combattendo per lei.
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