Consoliamoci, pensando di sapere almeno dove sian quelle di Goffredo Mameli; se pure, per ritrovarle, bisogni aver soccorso di guida entro la confusione di migliaia e migliaia di tombe, mentre non è piú dato sapere ove posino i resti mortali di Cesare, di Furio Camillo e di Manlio Torquato. Con tanta e cosí antica religione di sepolcri in Italia, passa il tempo e si oblia! Ma almeno i nomi dei forti rimangono nelle pagine della storia; e il nome di Goffredo Mameli è di quelli che il tempo non distruggerà nella memoria degli uomini. C'è qualche cosa che varrà a preservarlo, aroma e monumento piú degno; la poesia che gli è sgorgata, e d'alta vena, dal cuore.
Incompiuta, immatura, non nego; ma come quella di ogni grande artefice, che non abbia avuto tempo a dar tutto il suo meglio. E penso a Dante Alighieri, se messer Cante Gabrielli, furibondo podestà di Firenze, lo avesse potuto ghermire, nel marzo del 1302, non altro essendo divulgato di lui che la Vita Nuova e un mazzo di liriche giovanili! Nell'istesso periodo di formazione in cui l'ingegno del Mameli fu sopraggiunto dalla morte, la sacra scintilla del genio si vede, e ben luminosa. Narrando la vita del Poeta, ho dovuto necessariamente precorrere il mio giudizio sull'arte di lui. Ma un giudizio solenne, autorevole su tutti, lo ha dato da mezzo secolo il Mazzini; quel Mazzini, che sarebbe riuscito un grande scrittore letterario, e senza fallo il maggiore del secolo scorso, se non avesse amato meglio essere il precursore e l'apostolo dell'Idea nazionale; onde a lui gloria non peritura, e gratitudine, finché siano anime pensanti ed amanti in Italia.
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