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      Allora, io gemeva perché sulle sepolture dei martiri del Pensiero dovesse assidersi l'Angiolo dello sconforto; oggi vi posa eretto l'angiolo dell'Avvenire: allora i privilegiati d'una scintilla di genio morivano, consumandosi solitarî, di lenta etisia morale, fra una incerta speranza e lo scetticismo versato in essi dagli uomini e dalle cose che li attorniavano; oggi muoiono della bella morte, combattendo all'aperto, in nome di Dio e del Popolo.
      L'anima di Goffredo ha potuto, salendo, illuminarsi di un raggio di lietezza incontrando l'anime sorelle di Bini, dei Bandiera, di Jacopo Ruffini, dei mille martiri della nazione, e dir loro: consolatevi; la patria è sorta; la parola della nuova vita ha riconsacrato la nostra Roma alla terza missione; io la intesi prima di cadere; pochi giorni ancora e suonerà parola di riscossa alle moltitudini. Io non gemo dunque su lui. La mestizia che si diffonde in me, mentre io scrivo, non è se non desiderio: desiderio del sorriso ch'ei versava dagli occhi su noi sereno e quieto come la fiducia; dell'affetto ch'ei dava tanto piú profondo quanto meno lo rivelava a parole; del profumo di poesia che ondeggiava intorno alla sua persona; dei canti ch'erravano ad ora ad ora sulle sue labbra, facili ispirati spontanei, come il canto dell'allodola sul mattino, che il popolo raccoglieva e ch'egli dimenticava. Per me, per noi profughi da vent'anni e invecchiati nelle delusioni, egli era come una melodia della giovinezza, come un presentimento di tempi che noi non vedremo, nei quali l'istinto del bene e del sacrifizio vivranno inconscii nell'anima umana e non saranno come la nostra virtú, frutto di lunghe battaglie durate.


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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