E lira e spada staranno giusto simbolo della sua vita sulla pietra che un dí gli ergeremo in Roma nel camposanto dei martiri della nazione. Stenia era in lui trasfigurato dal culto d'una grande idea, intento e santificazione alla vita.
E questa idea ch'egli avea versato, fin da quando incominciò visibile il fermento degli animi per le speranze d'una guerra italiana, nei canti che qui son raccolti, lo avea trascinato fra i primi sui campi lombardi. Militava, capitano d'una squadra di volontari, con poca fiducia nell'esito immediato dell'impresa, ma con valore cavalleresco, e convinto che in quelle mischie s'iniziava la gioventù alla coscienza delle proprie forze e a vittoria infallibile nel futuro. Rovinata la guerra, ci passò, appena s'aprí via alle nuove speranze, in Roma. Di là mi scrisse un biglietto, riassunto eloquente della sua fede, che non conteneva se non tre parole: ROMA! REPUBBLICA! VENITE! e la data 9 febbraio(22). E colà lo rividi, raggiante di novello entusiasmo, nelle file condotte da Garibaldi, assorto negli studi e nelle cure della milizia, pieno come tutti noi di speranze, che, ordinato il giovine esercito repubblicano, avremmo gettato una seconda volta, con più sicuri auspicii, il guanto di sfida all'austriaco. Ah! ei non pensava, quando m'abbracciò, rivedendomi, che il nostro guanto sarebbe stato raccolto, plaudente l'Austria, dalla Francia repubblicana!
Né io parlerò dello zelo instancabile da lui, giovinetto, spiegato negli uffici del suo grado, né del valore ch'ei mostrò combattendo, nella giornata del 30 aprile, e più dopo, fino al giorno in ch'ei fu ferito: basti ch'ei meritò lode e affetto da Garibaldi.
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