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      Né ammirerò come, colto nella gamba da una palla di moschetto il 3 giugno, giornata che ci rapi Masina, Daverio ed altre vite preziose, e portato allo spedale dei Pellegrini, ei sostenesse scherzando e lieto di patir per la patria dolori e timori pur troppo avverati dall'avvenire: il coraggio era natura in Goffredo. Noterò solamente, esempio raro nella milizia, ch'egli aveva ricusato sul rompersi della guerra e insieme a un amicissimo suo, Nino Bixio, ufficiale d'alte speranze, il grado offertogli di capitano, allegando che v'erano altri più atti di lui, per esperienza, a coprire quel grado; e non l'accettò se non giacente nel letto, dove gli fu dato il brevetto coll'aggiunta di addetto allo stato maggiore. La ferita, che sembrava a prima vista leggiera, s'andò aggravando, e la gangrena invadente rese, il 19, indispensabile l'amputazione. Fu fatta maestrevolmente; e allora sperammo di averlo salvo. Egli andava chiedendo se una gamba di meno gli contenderebbe di guerreggiare a cavallo. Gli pareva di non dover morire che sulla terra lombarda, in faccia all'austriaco. Era deciso altrimenti. L'economia del fisico era in lui alterata nell'insieme; e dopo una illusione di meglio, s'andò a poco a poco riaggravando. Mentre il cannone francese s'avvicinava lentamente alle mura, ei s'accostava ai momenti supremi. Avresti detto ch'ei dovesse morir con Roma. E morí il 6 luglio, tre giorni dopo l'occupazione, quando pei suoi piú cari era cominciato o s'apprestava l'esiglio. Come il fiore della Flonide(23), egli sbocciò nella notte; fiorí, pallido, quasi a indizio di corta vita, sull'alba; il sole del meriggio, del meriggio d'Italia, non lo vedrà. Ricordo, pensando a lui, le parole di Goethe nel suo Torquato:


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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