Quel numeroso mormorío mi tacque,
Qual per virtú d'incanto; e quella turbaAnche calmossi. Ella sedea fra loro,
Tutti conversi verso lei: le ditaSovra il seguace cembalo movea,
Accompagnando l'armonia del canto;
E la sua voce parea mesta assai...
Io piú non la rividi.
V.
E un' altra ell'era,
Greca, ed avea le chiome bionde, e gli occhiGrandi e cilestri; e li volgea per uso,
Come chi stanco delle cose umaneCerca scordarsi della terra, al cielo.
Sul suo labbro l'italica favellaMolto dolce suonava; e abbenché lieta,
La sua parola m'invogliava al pianto.
Io la vidi una volta, e s' è svanitaCome un pensiero.
VI.
Ed una piú di tutte!...
Anzi, nell'alma la sua imagin s'eraConnaturata a quella cara Idea,
Come la fiamma colla luce. Oh, sempre,
Benché talvolta inavveduto, il suoPensiero soggiornò nella mia mente!
E se talvolta la sua dolce imagoParea che, come all'infuriar del turbo
Svanisce in ciel l'arcobaleno, anch'ellaIn fra le ardenti fantasie, di cui
Mi popolava il giovanil bolloreLa mente, dileguasse, appena stanco
Mi riposava dalla lunga febbre,
Io ritrovava la sua dolce imago.
Non altrimenti sovra il mar si perde,
Se fresca brezza l'agiti, il riflessoDell'astro, e sol piú lucide ne volge
L'onde; ma appena ei calma, e l'astro appare,
Che dianzi il coloría della sua luceSconvolta e mista al fluttüar dell'acque.
VII.
Ed una sera, mi rammento, mestaPiù ch'altra sera io mai sentissi, entrambi
Ragionavamo alla finestra. Un raggioDa una parete opposita refratto
Il suo volto imbiancava; e, come d'uso,
Di lievi cose parlavamo.
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Idea
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