Penati, sposa ad un nemico, astringiIn fra i mali e le lacrime la vita
A consumar? Il profugo maritoTienmi l'esperta fede? Ai stigii laghi,
Invii al ritorno, ei va guerrier; d'audaceProco è socio al furor. Non lui timore,
Non lui pudor ritenne: anche nell'imoAverno stupri e talami vietati
Cerca il padre d'Ippolito. E me travagliaAltro e maggior dolor. Non la quiete,
Non il sopore dell' amica notteSciolser mie cure: s'alimenta, e cresce,
Ed arde interno il mio furor, siccomeVapor che dalla cupa Etna dirompe.
Abbandonai di Pallade le tele;
Sugli usati lavor cadean le mani.
Me piú non giova di votivi doniColere i templi, o dell'Achee donzelle
Commista ai cori in tacita preghieraSovra l'ara agitar le conscie faci.
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Solo mi piace le eccitate fiere
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Nutrice. O moglie di Teséo, diva progenie
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Le fiamme estingui, né di dira spemeDocil t'affida alle lusinghe.
X.
Dall'ENEIDE, L. IV.(94)
MA la regina, già piagata intantoDi grave cura, nelle vene nutre
La sua ferita incautamente, presaDa un foco ignoto; e il molto onor degli avi
E la molta virtú del peregrinoVolge nell'alma. Le stan fitti in petto
Il volto, i detti; né la cura indulgeAlla stanca la placida quiete.
E già la Luna coll'estremo raggioIllustrava la terra, e l'umid'ombre
Scotea l'Alba dal polo; ed in tal guisa
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Ippolito Etna Pallade Achee Teséo Luna Alba
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