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      Io, trovandomi a cominciare, e terminare insieme, ho pensato di parlar solo una volta, per risparmiare la vostra pazienza a voi, a me il rischio di ripetermi. Dico il rischio, e potrei dire la necessità, perocché forse mi sarebbe stato impossibile il chiudere questi cari nostri convegni senza tornare ad esprimervi la mia riconoscenza per questa nuova prova della vostra simpatia; ché altro non può avervi mosso.
      In quanto a me, accettai senza niuna peritanza, pensando che, se per reggere le sedute si voleano e si trovarono nelle precedenti presidenze molte qualità ch'io certo non posseggo, nella presente una sola è necessaria. Per, direi cosí, coltivarne la vita, non è necessario che l'amore per la nostra Società; e in ciò, perdonate ch'io il creda (non è, tutto al più, che un errore prodotto da un buon desiderio), io non mi credo a niuno secondo.
      Perché questa nostra Società non parmi solo un molto acconcio mezzo per avvantaggiarci nelle umane discipline, ma anche il forse unico modo, nel quale per ora possiamo servire ai più sacri principii.
      Perocché, limitandomi a riguardare il principio sotto un aspetto parziale, l'arma più tremenda di cui possano usare contro Italia nostra i suoi nemici, è l'impedire in essa ogni maniera di affratellamento. Oppressa la stampa, proibite le società, le anime anche più vigorose isteriliscono nei sepolcrali confini dell'individualismo, come l'albero a cui manca l'aria. Se questo è il secreto della loro forza, tutto che a ciò è contrario, è nostro debito.


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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