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      All'incirca in quei tempi gli Austriaci occupavano Ferrara, minacciavano invadere tutta la Romagna. I Napoletani pregarono Ferdinando di accedere alla politica di Pio Nono. Questi rispose colla galera e colla tortura. Né parlo in metafora: si tratta proprio della tortura. Narra l'Alba che un tal Cioffi fu incatenato in un sotterraneo, e che prima gli si agitavano fiamme sul corpo, poi s'inondava la prigione sino a mezzo il corpo, per carpirgli delle delazioni. Non so se questa sia tradizione del Sant'Uffizio, o invenzione del Borbone di Napoli.
      Ciò non pertanto le opinioni restarono divise. Agiva potentemente colà l'esempio delle altre provincie Italiane: molti continuarono le pacifiche dimostrazioni, sperando persuadere il re, mostrandogli quanto egli potesse fidarsi in un popolo che possedeva una cosí miracolosa pazienza: alcuni si appigliarono alle armi, domandando si eseguissero le giurate costituzioni. E si noti che essi erano nel loro diritto, anche secondo le teorie di coloro che predicano non esistere altri diritti tranne quelli scritti negli atti governativi; giacché vi è il seguente articolo nella costituzione di Sicilia: "Ogni Siciliano ha il diritto di resistere colle armi ad ogni violenza non autorizzata dalla legge, e non può esser punito che in virtú di una legge anteriormente promulgata"
      Nel mentre durava e dura l'insurrezione, gli uomini che tentavano la conciliazione usavano gli ultimi conati perché il re si appigliasse a piú sani consigli. Fecero nelle principali città e nella stessa capitale pubbliche e pacifiche dimostrazioni, nei teatri e nelle vie; anzi, a Palermo, vedendo il popolo in armi, lo consigliarono a deporle.


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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