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      Il ministro degli stranieri sa già che tremila repubblicani (né un piú, né un meno; egli li ha contati a uno a uno) tolgono il fucile per andare a Milano. Noi sappiamo che tutti gl'Italiani hanno un cuore che batte, e un braccio per reggere un fucile, e che questo cuore batte al nome d'Italia, e che questo braccio corre al fucile, al suono della tromba di guerra; cosicché, se tremila Italiani (come dice il Ministro) entrano in Lombardia, quanti hanno un cuore che batte e un braccio per reggere un fucile, saranno con loro, quando anche a questo dovere avessero a sacrificare il regno dell'Alta Italia, e la garrula tranquillità della Camera di Torino. Noi sappiamo che una a tutti è la causa dei popoli; e però, mentre Ungheresi e Viennesi combattono, la nostra parte non è di osservare a che riesciranno, ma di combatter con loro.
      INSURREZIONE E COSTITUENTEDAL DIARIO DEL POPOLO, N.° 72; OTTOBRE 1848
     
      Due sono i problemi che in questi momenti agli Italiani si presentano principali: trovare il modo piú pronto ed efficace di cacciar Radetzky oltre l'Alpi: trovare il modo di compiere la rivoluzione interna, evitando la guerra civile. Queste due questioni sono piú congiunte che a prima vista non appare. Dopo l'insurrezione del Marzo, fu tentato dalla Associazione Nazionale, capitanata da Giuseppe Mazzini, di disgiungere totalmente la guerra d'indipendenza dalla questione politica, di riunire il partito monarchico e il democratico nel comun grido di guerra all'Austria. Si aveva una armata regolare, e un paese insorto: era egualmente stolto rifiutar l'opera dell'armata regolare, e spegnere l'insurrezione.


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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