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      Ma dal momento che non v'è piú vita nelle dinastie, nei parlamenti costituzionali, ciò significa che la forza è sfuggita alle caste, alle frazioni, e s'è diffusa nel popolo, nell'intera nazione. Da quel momento importa che le istituzioni governative si accomodino a questa trasformazione nazionale, sotto pena di essere, o assolutamente tiranniche, come a Napoli, o fantocci che una dimostrazione popolare travolge, come in Toscana ai tempi del ministro Samminiatelli, in Piemonte a quei di Pinelli.
      Un altro grave pregiudizio è invalso fra molti ; quello cioè che le attuali divisioni statuali siano appoggiate sopra l'indole e la tradizione nazionale. Nessuno dei governi esistenti è nazionale, e fu mai nazionale in Italia. La tradizione italica (e per tale noi riguardiamo la storia del tempo in cui l'Italia fu gloriosa e libera) è, o unitaria nei tempi Romani, o municipale nel Medio Evo. Quelli che colla tradizione volessero appoggiare il frazionamento, non potrebbero logicamente intenderlo in altro senso che nel municipale. La tradizione non ci dà né lo Stato di Sardegna, né la Toscana, né le Due Sicilie, o tanto meno l'Alta Italia: ci dà Sicilia, Firenze, Genova, Pisa, ecc. Ma chi vorrebbe, attorniati come siamo da forti e compatte nazioni, che tendono a schiacciarci sotto il loro peso, dividere in mille brani l'Italia? Però, volendo coordinare la costituzione presente colla tradizione del paese, non resta che a riunire la tradizione unitaria Romana e la Municipale. Da ciò risulta una unità nazionale, stabilita su base di larghe libertà municipali.


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Scritti editi ed inediti
di Goffredo Mameli
Tipogr. Istituto Sordomuti
1902 pagine 446

   





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