Gli altri crearono l'Italia dei letterati, l'Italia dei poeti, l'Italia degli uomini di Stato; egli solo creò l'Italia del popolo, insegnando agli Italiani ad amarsi, nel vincolo di un affetto comune, la patria. Ed oggi, anche quella gran luce è spenta. Il patto di fratellanza è ancora sulle nostre labbra; ma il cuor nostro è diventato una coppa d'odio. Noi innalziamo dei monumenti alla memoria di Giuseppe Mazzini; ma a poco a poco, senza avvedercene, ci discostiamo da lui, imprecando a ciò ch'egli amava, deridendo ciò ch' egli adorava. Ci dicono che le sue dottrine sono ormai vecchie; che l'unità del paese, il primo, il piú incrollabile fra i suoi concetti politici, ha fatto il suo tempo: che la concordia è un inganno, e il dovere un pregiudizio. I partiti si combattono coi sospetti e colle calunnie: le classi della società, pacificate dinanzi alla legge, sono oggi divise piú che mai dall'invidia e dalla diffidenza: la nuova democrazia, anziché essere la grande pacificatrice degli animi, ci parla di vendette o di rancori incancellabili.
Ciò, in parte, doveva accadere. Cosí nella vita dei popoli, come in quella degli individui, i disinganni dell'esperienza sopravvengono a correggere dolorosamente i caldi ideali della gioventú, e il cuore umano anticipa troppo facilmente col desiderio la soluzione di quegli alti problemi, alla quale soltanto, e con grandissimo stento, possono approssimarsi la ragione e la scienza. Ma tali difficoltà e tali disinganni non debbono farci immemori né ingrati verso i nostri maggiori.
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