Ecco le fonti della poesia, anzi delle Arti, non altro essendo dall'una all'altra di esse che differenza del mezzo proprio di ciascheduna, non della natura, che hanno comune. Né perciò altri creda che noi poniamo a soggetto dell'arte la realtà positiva, tanto nel concetto nostro lontana dal Vero quanto i colori della tavolozza dal quadro. Verità è per noi la grazia, l'affetto, il bello morale; verità la natura, la coscienza, la storia, tutto insomma che nell'universo o nell'uomo fa fede di Dio. Si dirà che le passioni, che pur sono in ogni letteratura tanta parte di poesia, e la storia e la stessa natura non sempre porgono immagine del primo Vero; che certa imitazione delle cose quai ch'elle siano, onde ebbero nome alcuni antichi e molti moderni, non vuole d'altro far fede che di sé medesima; che assai tratti dei piú lodati nei classici non hanno pregio dal soggetto, ma solo dall'arte; che questa piace per sé; il Vero per essa, ecc.
Questa dottrina era debito nostro di accennare; ma non crediamo di averla a ribattere, quando né il luogo né il caso il consente, né vive forse in Italia scrittore che la riceva, e sta contro di essa l'autorità di nomi a tutta Europa chiarissimi, come di ristoratori della critica; e l'esempio de' sommi italiani, da Dante a Manzoni. La poesia non ebbe mai, né avrà potenza sugli animi, cioè propria bellezza, se non come eco dell'inno che l'universo canta a Dio, come tocco che scuote dalla selce le scintille della fiamma divina. Né questo può l'imitazione, piacente, se cosí vuoi, ed ingegnosa, ma né inspirata per sé medesima, né inspiratrice.
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