Io non so quanto la Mitologia e le dottrine religiose degli antichi valessero a chiarir loro la ragione e i fini supremi dell'arte, nè so se dai libri dei Latini o dei Greci possa cavarsene un piccolo concetto; ma il Sanctum Poetae nomen, l'Est Deus in nobis, e cosí fatti, mostrano che non ne avevano almeno dimenticato le origini e l'indole prima. Ed è notabile, come le definizioni piú diverse pongano tutte, elementi della Poesia, Verità ed Amore; in ciò solo concordi. L'imitazione di Aristotele, la creazione di Platone, la pittura di Orazio e di Tullio, la rassomiglianza di Castelvetro, suppongono un Vero che con amore si esprima, si dipinga, s'imiti; un amore che ci levi all'intuizione del Vero. Nostro proposito è di riscontrare questa idea in due sommi Poeti, nei quali la lontananza dei tempi, e i costumi, e gli ingegni diversi, mostrino l'unità del principio nella più ricca varietà. Della scelta non accade dar ragione. Chi de' latini va innanzi a Virgilio, degli italiani a Dante? L'uno e l'altro sono a' giovani esempio vivo di quel Bello, che ha sede nell'anima; lo stile (unico in ambedue) pare in essi non tanto squisito lavoro, quanto abito nativo dell'affetto; senza che, l'uno è la piú bella espressione della civiltà antica, l'altro del risorgimento italico; e due religioni, due epoche, due mondi, vengono cosí a paragone.
Ma che dire del presente saggio? Verità e Amore adombrano il concetto del Bello cosí in genere; ma a sentire innanzi nel Virgilio, e nel Dante, bisogna tal cognizione delle lingue, del secolo, delle dottrine, de' fini dell'autore; tale studio della parte che ciascuna di esse cose ha nel bello dell' opera; tal giudizio, in fine, che niuno aspetta da noi.
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