È una cosa strana, nel suo primo getto quell'inno, che annunzia ai
Fratelli d'Italia" il ridestarsi, della gran Madre, col piú vivace degli impeti, col piú veloce dei ritmi poetici; quell'inno della risurrezione, dove il primo verso è già per sé stesso una novità di forma e un nuovo atteggiamento di pensiero; quell'inno che noi maturi ha sempre virtú di commuovere, come farebbe il piú tenero dei ricordi d'infanzia. Sante commozioni! entusiasmi divini! Benediciamo, o Signori... o Fratelli d'Italia, anche a quell'elmo di Scipio, a quella retorica, che sapeva scendere nella gran valle del Po a combattere altri Annibali, e andare a morire contro un nuovo Brenno, sotto le mura di Roma. Ah, il gran Scipio, contemplando quel giovine senza il suo elmo, lo ha forse veduto men prode? No, per gli Dei! Senz'elmo, sfavillanti il bianco viso nell'aurea chioma svolazzante, giunsero dalla pugna del lago Regillo due giovani miracolosi, annunziando a Roma la prima delle sue grandi vittorie. In quell'eterna Roma un gran deserto si fece, una vasta rovina, da poi; ma due colonne rimasero alte, indice ad un tempo e presagio, a segnare il luogo dove sorse il tempio dei Dioscuri, dei due vincitori, dei due messaggeri celesti. E non erano essi con lui, con Goffredo, i nuovi Dioscuri d'Italia? Sí, due, giovani, forti, immortali del pari: il Diritto e il Dovere.
Roma è un prodigio del mondo. Essa una volta ha fatta ed esaltata l'Italia, nella forza delle armi, nell'imperio delle leggi, nella severità dei costumi, nella maestà della gloria.
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