(164) Dall'autografo, di sette facciate in folio. È il primo getto del discorso, e differisce alquanto nella forma da quello che fu stampato nella edizione del 1850. I lettori confronteranno, e vedranno come l'argomentazione sia qui piú serrata e piú viva. Il discorso dev'essere stato letto sul finire del 1847, poiché la supplica al re di Napoli fu appunto del 21 dicembre di quell'anno. Essa incitava Ferdinando II a seguire i passi di Pio IX, Leopoldo II e Carlo Alberto sulla via delle riforme liberali. La sottoscrissero trentadue cittadini Piemontesi, tra i quali, oltre Cesare Balbo, che l'aveva dettata, Carlo Alfieri, Camillo Cavour, Silvio Pellico, Angelo Brofferio; poi trentaquattro cittadini Romani, tra i quali D. Michelangelo Caetani, Luigi Masi, Pietro Sterbini.
Il primo numero del Risorgimento usciva in Torino il 15 dicembre 1847; il secondo (primo della sua pubblicazione regolare) appunto il 21 dicembre.
(165) Nella stampa del 1850, il discorso ha questa conclusione:
E nel resto d'Italia, i principi che si separano ancora dalla politica di Pio IX, Carlo Alberto e Leopoldo non saranno inanimiti a star fermi, vedendo che il Napoletano, tanto piú innanzi di loro, trova ancor tanta indulgenza? E le monarchie congiurate, che esitano a romperla, perché ci credono risoluti come gli Svizzeri, non toglieranno baldanza al veder che gl'Italiani han tanta paura della crisi, che per evitarla piegano la fronte sin dinanzi a Ferdinando II?
Ad ogni modo, io credo che questa proposta possa riescire di qualche utilità; perocché, venendo ad essere rifiutata da questo Comitato, il quale rappresenta in un certo modo una delle principali città Italiane, proverà, a terrore del re di Napoli e di quanti sono con lui, a conforto dei Napoletani e di quanti sono con loro, che noi riguardiamo il governo di Napoli come irreparabilmente perduto; che mentre noi con tutta la gravità propria di un gran popolo ci avanziamo alla nostra rigenerazione per la via delle riforme, dove queste sien chiuse e le occasioni lo chieggano, siamo risolutamente preparati all'azione, e che i figli degli uomini del 1746 intenderanno il suono dei vespri, che i Siciliani si preparano a suonare al Borbone, come un giorno all'Angioino
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