Ora, raggiunta l'identificazione fra Filosofia e Religione, sarà bene vedere i termini dell'identificazione stessa: perciò ritorneremo un po' sui fondamentali atteggiamenti dello spirito, fermandoci sui primi due: il dogmatico e lo scettico.
Ripetiamo che, se per noi tutto ciò che ci offrono i sensi è vero, indipendentemente da ogni nostra considerazione sulla nostra attività sensoriale, sarà vera ogni proposizione ed il suo contrario, data la imperfezione dai nostri sensi e l'unilateralità delle sensazioni (si veda a pag. 12 l'esempio del nano e del gigante): cioè sarà vero tanto il vero quanto il falso. Ma qui è implicito lo scetticismo che con Protagora affermerà che l'Uomo è misura di tutte le cose per cui vi sono tante verità quanti individui, anzi vi sono tante verità quante sono le sensazioni di ogni individuo. Viceversa dallo scetticismo noi siamo subito ricondotti al dogmatismo perché, una volta ammessa la relatività della conoscenza, noi cadiamo in una concezione assolutistica della relatività (pag. 18): per cui nulla ci vieta di invertire i termini e di definire scettici Talete, Anassimandro, ed Anassimene, dogmatici Protagora o Gorgia.
Da tutto ciò si vede che il pensiero ha bisogno di credere e di dubitare: di credere perché è impossibile che ogni uomo empirico faccia da capo tutta l'esperienza che è tutta la Storia, di dubitare perché lo stesso continuo svolgimento storico del pensiero ci avverte che il pensiero ha infinite tappe da percorrere, ma non ha alcuna meta prestabilita da raggiungere e tende a superare sempre se stesso; ma è anche evidente che nel credere è implicito il dubitate come nel dubitare è implicito il credere - e ciò anche prima che lo avessero detto S. Agostino e Cartesio.
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