La concretezza della Scienza opposta all'astrattezza della Filosofia? Ma anche di questo argomento ci eravamo sbarazzati negli stessi due capitoli perché mentre sul terreno dell'empiricità su cui evidentemente si eran posti i nostri ipotetici contraddittori l'astrattezza è risultata il carattere precipuo della Scienza che non può organizzarsi, cioè risalire dai fatti alle leggi senza astrarre alcune particolarità, forse necessarie, dai fatti stessi - sul terreno scientifico invece la Filosofia si è rivelata concreta per eccellenza appunto per il suo carattere di universalità che comprende tutti i particolari concreti.
Ed allora si potrebbe aggiungere un altro elemento: l'utilità della Scienza e la inutilità della Filosofia che sarebbe da definire quella Scienza per la quale, con la quale e senza la quale si resta sempre tale e quale. Ma anzitutto di questa asserzione che è volgarissima tra le volgari potremmo sbarazzarci anche subito, rinviando i lettori al nostro quarto capitolo in cui abbiamo provato che alla Filosofia non si può rinunziare se non a patto di rinunziare alla propria umanità, cioè, in termini volgari, ad esser uomini, poi - se valesse la pena discuterne - potremmo molto facilmente obbiettare che il criterio dell'utilità non può esser valutato che dal pensiero in quanto attività, cioè in quanto si concretizza storicamente - dato che l'utile varia secondo il tempo il luogo e le circostanze, per cui ciò che in determinate condizioni è utile in altre si rileva inutile quando non addirittura dannoso.
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