Spieghiamoci con un esempio tratto dai "Promessi Sposi": Ai tempi dei bravi le "leggi" - considerate come norme giuridiche - contro i medesimi non mancavano, anzi, per servirci del termine manzoniano, diluviavano; ma esse avevano perduta la loro efficacia coattiva perché la "coscienza giuridica", offuscata da pregiudizi di natura empirica, come l'amore del quieto vivere da parte dei deboli ed il desiderio da parte dei potenti di sottomettere la Legge al proprio arbitrio, aveva perduto il senso della propria universalità, che è la stessa universalità del Diritto, nella particolarità dell'interesse personale e quindi cessava di essere coscienza giuridica. Ciò vien confermato dal fatto che deboli e potenti non ricorrevano alla Legge se non quando vedevano conculcati i propri diritti o menomati i loro privilegi, mentre - allorché questi interessi personali non venivano toccati - erano entrambi d'accordo nel mantenere, rispetto alla Legge stessa, un contegno di indifferenza e di estraneità.
Il Diritto dunque, in quanto coscienza giuridica, presuppone come suoi elementi costitutivi la coattività e l'universalità che imprime alle proprie norme, le quali non possono - come abbiam visto darseli da se stesse. Non può dunque esservi coscienza giuridica e quindi non può concepirsi il Diritto se non vi siano questi elementi come condizioni indispensabili alla sua concretizzazione storica: ché infatti un nostro semplice desiderio che non riesca ad universalizzarsi divenendo desiderio generale, cioè volontà razionale nostra in quanto uomini, e resta desiderio nostro in quanto individui, non può assolutamente acquistare quel carattere di coattività che alla Legge si addice: esso rappresenta un interesse da parte nostra, non un diritto.
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