Cominceremo coll'esaminare la premessa: è, in primo luogo, possibile una distinzione netta, fatta anche sul terreno meramente empirico, fra quelle che impropriamente si chiamano attività umane e non sono, come vedremo, che forme dell'attività medesima? E su qual criterio si fonderebbe siffatta distinzione?
A noi pare che a questa domanda non sia mai stata data una risposta in armonia con le suddette correnti, o almeno che non si sia mai risposto in maniera esauriente; e non si può esaurientemente rispondere perché non basta distinguere i bisogni umani in immediati e mediati per aver dimostrato che vi e un'attività inferiore o necessaria che mira al soddisfacimento dei primi ed un'attività superiore o accessoria che si preoccupa di soddisfare ai secondi, in quanto possono esservi dei bisogni immediati dal cui soddisfacimento esula ogni principio utilitario e viceversa dei bisogni mediati il cui soddisfacimento riguarda direttamente la forma economica dell'attività umana. E nemmeno può adottarsi come criterio valutativo di questa suddetta distinzione lo stesso principio dell'utilità, perché, in questo caso, dovrebbe ritenersi utile soltanto ciò che è prodotto della pretesa attività inferiore o necessaria, mentre il prodotto della attività superiore o accessoria dovrebbe essere ritenuto qualche cosa di completamente estraneo all'utile stesso.
Abbiamo esaminato due soli criteri in base a cui potrebbe giustificarsi la distinzione delle attività, ed abbiamo visto come non possano reggere, e così non può reggere nessun altro che miri a giustificare ciò che non è giustificabile: ché infatti "distinguere" significa attribuire caratteri di autonomia ai distinti e quindi definirli.
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