Ammettendo infatti con la prima che la virtù consista nell'astrarre completamente da quella che è la vita empirica per concentrarsi nella contemplazione di ciò che é o che crediamo razionale, concependolo naturalmente presupposto alla nostra attività intellettiva e volitiva, è logico che l'uomo perderebbe la visuale dell'attività che è pure attività umana, cioè cesserebbe di essere uomo perché cesserebbe di realizzarsi nella concretezza della Storia da cui si astrarrebbe nel tempo stesso che la fa; cesserebbe anche di esser virtuoso non operando concretamente per realizzare la virtù. Ammettendo d'altro canto che la base del vivere sociale sia il benessere e che la virtù non sia che una derivazione, accessoria per giunta, di esso, si arriverebbe all'altra assurdità logica di sostituire nella concezione sociale della vita l'uomo-empirico all'uomo-razionale, l'individuo all'umanità, dimenticando che il primo è un momento della Storia ed è transeunte, la seconda è la Storia ed è eterna; perché si ha un bel distinguere - come nella scuola inglese - fra benessere individuale e benessere sociale, ricorrendo alle tavole algebriche dell'Etica del Mill e dello Spencer, ma in realtà il benessere preso come base del vivere sociale non può essere che il benessere individuale in quanto, se noi lo consideriamo prescindendo dall'attività intellettiva e volitiva del pensiero che lo determina, non possiamo assolutamente concepire come l'individuo possa sacrificare il proprio interesse a quello generale, a meno che non si proponga di ottenerne maggiori vantaggi.
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