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      E come potrebbe l'uomo sostener seco un'alienazione sì oltraggiosa, se di lei abbiamo ogni momento bisogno, e ci serviamo? Ci contenteremo forse, per non passarcela ben con essa, di parlare barbaramente, e in cambio di essere noi a chi è lontano, oggetto d'ammirazione e di stupore, saremo di buona voglia il ludibrio delle conversazioni degli uomini dotti, che vivono tra di noi? Comporteremo che si veggiano, non dirò già le nostre lettere, ma le migliori scritture di nostra mano, e le più importanti, esposte talvolta all'occhio d'ognuno, piene di quei solecismi, de' quali ci vergognavamo cotanto allorchè, pargoletti inesperti, alla gramaticale latina disciplina eravamo applicati? Che se fu mai uomo alcuno, che si pentisse in età provetta di aver posto in non cale in sua fanciullezza il pensiero di prender le regole di qualche altra lingua, solo per non potere a tempo e luogo far comparsa tra gli altri, lascio immaginare a voi, uditori, qual debba essere il rammarichío che proverà un Fiorentino, che della propria lingua si trovi a bello studio ignorante; poichè a lui non una sola volta ciò addiverrà, ma tutto il tempo che gli resta di vita, che quello è appunto, in cui vie più si va ostentando senno e prudenza; un Fiorentino, dissi, a cui niuna difficile arte, o scienza dà pensiero, avendo la nostra nazione dato in ogni cosa gran saggio del suo ingegno, non che imitatore, inventivo e creatore.
      La favella ormai da noi si parla, e si dee parlare; laonde alla guisa di quei fiori, che succhiati sono dalle api ugualmente, e dai serpenti, giusta l'antica opinione, sta in noi il trarne, o favi di salutevole mele, o tossico micidiale.


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Lezioni di lingua toscana
di Domenico Maria Manni
Editore Silvestri Milano
1824 pagine 179

   





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