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      Quindi entrar si potrebbe, non vi ha dubbio, a trattar delle lettere a lungo, ma perchè molte cose dir converrebbe, che, ai Latini, non men che a noi appartenendo, manifeste pur sono a molti, di quelle non veggio necessità di far parole; anzi usar si vuole per buona regola in una materia, qual si è questa degli elementi, tanto rinerescevole e secca, quanto è utile e necessaria, ogni possibile brevità; avendo l'occhio a risparmiare quello che sensa alterazione alcuna da' Latini si prende, che è pur molto, incominciandosi dal nome stesso dell'alfabeto, avutosi da loro come eglino da' Greci lo ebbero. Che se fra' Toscani antichi, i quali fanno testo di lingua, vi fu ancora chi Alfabeco il domandasse, come si fu l'arguto Burchiello, egli si vuol credere che o dalla rima spronato ne fosse, o pure, perchè, non contento delle due lettere Alfa e Beta, che il nome hanno dato di Alfabeto, egli volesse in suo esprimente giocoso modo aggiugnere in quella voce la terza, cioè il C, come l'ha il nostro Abbiccì; sebbene in questa mutazione da niuno ch'io sappia, fu seguito. Ma, per tornare a noi, posto in disparte ciò che tralasciar si puote, io, giusta l'Allegoria dell'Ariosto:
      Levando intanto queste prime rudiScaglie n'andrò con lo scarpello inetto,
      Forse che ancor con più solerti studiPoi ridurrò questo lavor perfetto.
      Venti adunque, e non più le lettere sono dei Toscani, e quelle stesse che i Latini hanno, purchè da i loro elementi il K, l'X, e l'Y si tolgan via, come quelli che adoprati furono dai nostri soltanto nelle scritture presso al 1300 fatte; quantunque adoperasse il K anche un secolo e mezzo dopo Bernardo Bellincioni fiorentino, autore di lingua sì, ma che visse fuori lunga stagione, i quali elementi, restati esclusi poscia nell'uso totalmente, di altre lettere in luogo loro ci serviamo: checchè alcuni non credendo quelli affatto essere sbandeggiati, ma starsi fuggiaschi od erranti, aggiungano sopra i venti alcuno di loro; che invero inutile resta, ed ozioso, e a non altro serve che a mostrare, che ci sia stato; e ciò frall'altre in molti di quegl'indici, che per invenzione, e per nome venuti dall'antico, Stratti usiamo chiamarli.


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Lezioni di lingua toscana
di Domenico Maria Manni
Editore Silvestri Milano
1824 pagine 179

   





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