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      Cosa, che (a gloria di nostra lingua sia detto) non tutti i popoli posson fare, mentre è noto, che gran parte di fuori della Toscana, principalmente i Lombardi, il CE, e il CI non son valevoli ad agevolmente pronunziare, perlochè dicono Zervello, Zipolla, e sì fatte; dalla quale infelicità di pronunzia vorrebbe persuaderci uno scrittore essere addivenuto, che il G presso gli Ebrei, gli Arabi, ed i Greci il luogo tien del C nel loro alfabeto. Infelicità sottosopra di niun momento, se si pone a fronte con quella de' miseri Efratei, dalle sacre Carte ricordata, i quali pronunziar non potendo Scibboleth, e dicendo in quella vece Sibboleth, costò loro tale impotenza, quarantaduemila uomini uccisi in riva al Giordano a fil di spada; conciossiachè la lor loquela, per usar la frase di Dante, chi egli fossero facea manifesto.
      Tralascio a bella posta di far parola della parentela, come i gramatici appellano la somiglianza che una lettera nel nostro idioma ha con un'altra, e di loro scambievole cangiamento; poichè ci tratterrebbero dal passare con qualche prontezza ad una delle parti dell'orazione, e di appressarci indi a studio più ameno; oltreacchè direttamente, e in acconcio cadranno in un qualche ragionamento, che a suo tempo mi venga fatto, d'ortografia: il quale, privo di simili osservazioni, sembrar potrebbe come:
      Senza fior prato, o senza gemma anello.
     
     
      LEZIONE TERZADel Nome.
     
      QUALUNQUE volta io mi veggio a questo nobil Consesso davanti, mi accade che, pieno di riverente rossore, io mi penta in certo modo del fine propostomi, di ragionare di cose lievi in apparenza, e digiune, sebbene in sostanza all'acquisto della toscana favella necessarie, sembrandomi di tenere, per dir così, persone d'alto affare, come di Domiziano si narra, in una pueril cacciagione, col dispendio dell'oro preziosissimo del loro tempo, occupate.


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Lezioni di lingua toscana
di Domenico Maria Manni
Editore Silvestri Milano
1824 pagine 179

   





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