Per la qual cosa mi fo lecito questa sera, alle leggi de' gramatici derogando, di fare un passo a quella parte dell'orazione, che, giusta la partizione di Gio. Batista Strozzi, del Sansovino e d'altri, è la prima, tralasciando intorno alle sillabe di ragionare, tanto più che di esse cosa non vi ha quasi da dire, che ai Latini insieme non appartenga. Quindi mio intendimento sarà di far vedere nella ubertà abbondevole de' toscani nomi (qual già da poche uve la fertilità di novello terreno) quell'immensa dovizia, e copia, di che è ferace la nostra lingua, per poi passare in altro ragionamento a sporre a parte a parte del nome le passioni, o come altri dicono, gli accidenti. Ma lasciando ora il più lungamente proemizzare, alla proposta materia venghiamo.
Omesso pertanto il ragionar co' gramatici, di quel che il nome sia, e di sua derivazione, cose notissime ad ognuno, fia di minor tedio a chi ascolta, l'udire quanto abbondevole sia di nomi d'ogni ragione il nostro idioma, per cui, qual dagli ugnoni il leone, si fa strada alla cognizione dell'ampia suppellettile dell'altre parti. E ben chi non vede la quantità prodigiosa de' nostri nomi, atti a spiegare una medesima cosa, ed a sminuzzarla, e particolarizzarla con accorta puntual proprietade, qual di essi più lungo, e qual più corto; quello di una desinenza, questo di un'altra; talchè, potendosi ognuno, in qualunque stile ragioni, servire a suo senno, bisogna confessare che colui solo parla male, che così vuol parlare. La prosa ha quivi il suo numero e il suo ripieno; e la rima ed il verso vi trovano il loro servigio, senz'avere a ricorrere a quelle rinzeppature, che, quasi biette in lavoro fabbrile, osservò talora Guglielmo Modicio usar altre lingue; in somma la materia, qualunque sia, purchè il giudicio di chi favella vi concorra, vi ha tutto ciò che le è d'uopo.
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