Dalle quali voci tutte, derivando non meno copia, che brevità, è proprietà alla favella toscana, non capisco perchè quello scrittor franzese, contro cui se la prese Bernardo Davanzati, la tacci come lunga, e languida, e quasi Cornacchia d'Esopo vestita delle penne franzesi. Certa cosa è, che se ufizio mio ora fosse di difenderla dalle troppo ingiuste accuse di quel critico, forse, e senza forse, di questa lingua medesima, che censura, debole conoscitore, potrei fargli agevolmente comprendere alla prova, quanto ella in forza, è 'n maestà, non che uguagliare, superi qualunque altra delle lingue emule sue sorelle, avendo noi massime una quantità di voci spiegantissime in una sola ciò che gli altri idiomi appena arrivano a conseguire con due. Che poi noi non siamo ricchi, e possenti se non del nostro, è omai così noto, che nulla occorre dirne. Anzi di più da un dottissimo letterato nostro mi fu riferito, che nel dimorar ch'ei fece, non ha molto, in Parigi, portatosi all'abitazione del Veneroni, compilatore del Dizionario Francese e Italiano, lo trovò che stava attualmente traendo dal Vocabolario della Crusca una prodigiosa quantità di vocaboli, e spezialmente di avverbi nostri, con dar loro la desinenza franzese; e ciò per ampliar quella lingua, come pur fece, la quale era di prima in essi molto scarsa, come mostrano gli antichi loro Vocabolari. Per le quali cose tutte possiamo con ragione esclamare:
O famose Città, con vostra pace,
Roma, ed Atene, non alzaste a tanto,
Quanto i Cigni dell'Arno, il volo audace.
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