Ma quello che importa è, che non si può supporre che il Cinonio avesse per sè, e per cui scriveva, Testi ottimi in Sicilia del Dittamondo; di quel Dittamondo, di cui in Firenze, patria di Fazio Uberti, autore di quello, non molti manoscritti si trovano, e solo quasi dir si può, si hanno di esso le più scorrette edizioni che di opera alcuna si sieno fatte. Di una di queste edizioni so esserne un esemplare in Venezia, stato tutto quanto postillato, a fine di ridurlo alla lezione dei buoni MSS. Le quali impressioni sono così deformate, e di forestiere voci ripiene, che Gabbriello Fiamma non dubitò di chiamare Fazio Uberti trivigiano, e non fiorentino. Quindi io tengo per fermo che il Cinonio si sarà servito, in citare, dell'edizione che fece del Dittamondo Cristoforo Pensi da Mandello, ovvero di quella che, più antica essendo, non ha nè pure il nome di chi l'impresse, avendo io ben prima d'ora conosciuto che dei manoscritti non gli venne fatto di vederne troppi. Ma quando ne avesse veduti, come vogliamo noi dire che quei che si trovavano in Sicilia fossero toscanamente corretti? Io ho appresso di me un manoscritto di Dante, che, per essere stato incominciato a copiare da uno dello stato di Genova, di voci genovesi, per tutto, dove alterar si poteva, è ripieno, con pregiudizio eziandio, non che della rima, ancor del metro, che cresce e scema soventemente. Comunque però nell'affare del Dittamondo andasse la bisogna, il Cinonio vi ravvisò subito le voci siciliane, secondo ch'ei dice: per consultar le quali possiamo noi servirci di più testi a penna.
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