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      Incomincio pertanto a dire dell'avverbio, che è una parte dell'orazione indeclinabile, la quale aggiunta al verbo, ha forza di esplicare gli accidenti di quello. Differisce dalla preposizione in questo, che qualora è preposizione, è accompagnata con qualche caso, qualora è veramente avverbio, sta di per sè. Gli avverbi adunque, che con la preposizione si soglion bene spesso confondere, sono Appresso, Avanti, Allato, e simili; donde da questi esempli ne verrà chiara la distinzione. Il Boccaccio, Novella 15: Or via mettiti avanti, io ti verrò appresso; quivi l'Appresso è preposizione, poichè è congiunta col ti laddove in quest'altro è avverbio; perchè independente da niuna cosa. Dante, Inferno, 22:
      Se voi volete vedere, o udire,
      Ricominciò lo spaurato appresso,
      Toschi, o Lombardi i' ne farò venire.
      Ed avverbio è parimente in quel del Boccaccio, Novella 16, Dalla madre della giovane prima, ed appresso da Currado soprappresi furono.
      L'avverbio si scambia sovente col nome addiettivo, e principalmente nelle voci Poco, Molto, Forte, Presto, Tosto, Ratto, e sì fatti. E ben per la voce Ratto si fecero, come noi diciamo, le Croniche, da chi, non ben fondato nella cognizione delle più fine proprietà della lingua, pretese di correggere i Fiorentini in ciò che spetta ad essi, e pose in forse cose certissime, di cui ora non è tempo di lungamente parlare. Benedetto Menzini voleva nel suo modo, che Meglio, ed altri parecchi, che egli novera, fossero nomi avverbialmente posti. Ma, senza altro dire, la regola di distinguer dall'avverbio lo aggettivo, è di vedere se quest'ultimo ha con sè di conserva alcun sostantivo; nel qual caso creder si può aggettivo; se no, scoprirà, e determinerà gli accidenti del verbo, e sarà senza fallo avverbio, siccome: Non volendo nè poco, nè molto dire, nè far cosa che a lei fosse a piacere, ec.


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Lezioni di lingua toscana
di Domenico Maria Manni
Editore Silvestri Milano
1824 pagine 179

   





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