E lascia il corpo vil-mente disfatto;
e ciò ben comprende chi questo verso pronunzia con quella modulazione, che si ricerca, e che a gran prova faceva il suo autore, confessando egli nel Convito con la solita sua ingenuità, che i versi suoi erano fatti con grand'arte, e particolarmente nel suono, e nell'armonia, dubitando infino, che pochi fuor di lui avrebbero conosciuto questo recondito pregio, con dire: Io credo, Canzone, che radi sono, cioè pochi quelli che intendano te bene. E quindi è, che le Canzoni di Dante, lui vivente, cantate venivano con non men diletto, che brio dal famoso musico di quei tempi Casella. Se pure Dante in dicendo:
E lascia il corpo vil-mente disfatto,
non ebbe anzi mira con lo sciogliere e disfare lo stesso verso, di mostrare il disfacimento stesso di cui favellava. E ben si osserva che egli simil cosa fece, imitando i Greci ed i Latini, in diverse altre occasioni, come quando, per voler egli biasimare, e spogliar d'onore Giunone, che per leggerissima gelosia a disperder si desse tanti eroi, spogliò d'accenti il verso con dire nell'Inferno, al 30:
Nel tempo che Giunone era crucciataPer Semele contra il sangue Tebano.
E molto più quando in quei due versi:
E fuggì come tuon che si dilegua,
Se subito la nuvola scoscende;
per via della fermata sul tuon mostrò il rumore del tuono, e con le sillabe brevi, che sono appresso, la velocità, e la leggerezza del medesimo.
Ma, per tornare al proposito primiero, altro indizio di quel ch'io diceva, ne dà quel di Dante pure, che nel Purgatorio al IX va dicendo:
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